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[BigDataSur-COVID19] Come la sorveglianza biometrica si sta insinuando nel trasporto pubblico

Durante la pandemia i lavoratori e le lavoratrici essenziali sono stati i soggetti più vulnerabili. Questo articolo discute come la sorveglianza introdotta per limitare il COVID-19 molto probabilmente sarà normalizzata nel contesto post-pandemia.

by Laura Carrer and Riccardo Coluccini

 

COVID-19 has shown how essential workers, while fundamental to our societies, are constantly being exploited and marginalized. This is even more true if we consider how smart working has fundamentally changed our perception of public spaces: working from home is a privilege for few people and the public space is something to be monitored. Many essential workers are still forced to commute to their workplaces using public transport and tech companies are taking advantage of the pandemic to introduce anti-COVID solutions that further push for dataficaton of our lives. We see the deployment of video surveillance systems enhanced by algorithms to monitor distance between people on public transport systems and software that can detect a person’s face and temperature and check if they are wearing a face mask. Forced to move in our public spaces, essential workers become guinea pigs for technological experiments that risk further normalizing biometric surveillance.

 

La pandemia di COVID-19 ha creato uno spartiacque nel modo in cui abitiamo il nostro spazio pubblico: mentre alcune fasce privilegiate della popolazione mondiale hanno beneficiato del lavoro da remoto, milioni di persone nel settore della sanità, dell’istruzione, della ristorazione, nell’infrastruttura logistica e di produzione non hanno avuto gli stessi privilegi e spesso hanno lavorato senza adeguati dispositivi di protezione individuale, continuando a recarsi a lavoro quando possibile con i mezzi pubblici. Molto spesso queste categorie di lavoratori essenziali sono anche appartenenti a minoranze e hanno vissuto quindi doppiamente il pesante bilancio della pandemia di COVID-19, pagando un prezzo molto alto.

Se da una parte è sembrata esserci una presa di coscienza nei confronti di queste lavoratrici e lavoratori essenziali—unici a muoversi e continuare a garantire un certo grado di normalità nella nostra vita quotidiana durante la pandemia—dall’altra queste persone rischiano di finire al centro di un nuovo disturbante esperimento tecnologico che potrebbe normalizzare l’utilizzo della sorveglianza all’interno delle nostre città.

I mezzi pubblici sono diventati il campo di test per soluzioni tecnologiche anti-COVID che si basano sulla videosorveglianza: dagli algoritmi per monitorare la distanza tra passeggeri a bordo fino ai software in grado di riconoscere se la persona indossa o meno una mascherina.

L’innovazione tecnologica sembra trainare la risposta alla pandemia in tutto il mondo, non solo sotto forma di app per il tracciamento dei contagi, ma anche e soprattutto sfruttando l’infrastruttura di videosorveglianza già ampiamente diffusa. A Città del Messico, il sistema di videosorveglianza cittadina è stato subito riconvertito per monitorare l’uso delle mascherine. A Mosca, la rete capillare di videocamere (più di 100.000) è stata utilizzata per controllare in tempo reale i cittadini positivi al coronavirus che per varie ragioni si allontanavano da casa. In Messico, il primo sistema di riconoscimento facciale nazionale (nello stato di Coahuila) implementato nel 2019 ha incluso la rilevazione termica ad aprile 2020, un mese dopo l’inizio della pandemia. Un’infrastruttura preesistente rende la possibilità di normalizzazione e controllo dei cittadini da parte dello Stato inevitabilmente più semplice.

Tutto questo avviene spesso a scapito di una corretta valutazione dei rischi per i diritti umani e si sta espandendo in maniera poco trasparente anche sui mezzi pubblici.

Lo scorso maggio, a Parigi, sono state introdotte nelle linee della metropolitana videocamere in grado di monitorare il numero di passeggeri e l’effettivo utilizzo delle mascherine. La stessa tecnologia è stata introdotta in alcuni mercati all’aperto e sui bus della città di Cannes. Tecnologie simili sono state introdotte in India a bordo di bus di lunga distanza e in alcune stazioni ferroviarie.

Il sistema di trasporti dello stato del New Jersey ha annunciato a gennaio 2021 il test di una serie di tecnologie per rilevare la temperatura, individuare l’uso delle mascherine e usare algoritmi di intelligenza artificiale per monitorare il flusso di persone. In Cina, l’azienda di trasporti Shangai Sunwin Bus ha già introdotto quelli che chiama “Healthcare Bus” muniti di tecnologie biometriche.

Le aziende del settore hanno subito sfruttato questo spiraglio per pubblicizzare le proprie tecnologie, come ad esempio l’azienda Hikvision, produttrice mondiale di videocamere. In Italia, l’azienda RECO3.26 che offre il sistema di riconoscimento facciale alla polizia scientifica italiana ha da subito approfittato della situazione offrendo una suite di prodotti anti-COVID: tra questi ci sono il DPI Check, per controllare appunto l’utilizzo della mascherina chirurgica da parte dei soggetti che rientrano nell’area videosorvegliata; Crowd Detection e People Counting per monitorare gli assembramenti; oltre a funzioni per la misurazione in tempo reale della distanza di sicurezza tra le persone videosorvegliate e il rilevamento della temperatura corporea. In Italia, alcune di queste tecnologie sono state subito acquistate da parte dell’Azienda Trasporti Milanesi ATM. E non è chiaro se l’Autorità per la privacy italiana sia stata informata al riguardo.

L’utilizzo di queste tecnologie, oltre ad essere invocato come primaria e più efficiente soluzione per la risoluzione di un problema emergenziale ben più complesso e intricato, è problematico anche sotto un altro punto di vista. L’ente governativo americano National Institute of Standards and Technology (NIST) ha recentemente pubblicato un report di analisi dei software di riconoscimento facciale presenti al momento sul mercato, evidenziando come l’accuratezza di questi ultimi sia molto bassa soprattutto ora che l’utilizzo della mascherina è obbligatorio in molti paesi del mondo. Un prezzo che, visto l’utilizzo della tecnologia biometrica al giorno d’oggi, molte persone—soprattutto appartenenti a categorie già ampiamente discriminate—saranno costrette a pagare caro.

Nella narrazione odierna, tecno-soluzionista e tecno-ottimista, la sorveglianza dei corpi per contrastare un virus che si diffonde velocemente può sembrare l’unica via d’uscita. In molti casi le lavoratrici e i lavoratori essenziali sono già vittime della sorveglianza sul luogo di lavoro, come nel caso delle tecnologie sviluppate da Amazon per monitorare la situazione nei propri magazzini, ma ora questa sorveglianza rischia di espandersi e impossessarsi ulteriormente dei nostri spazi pubblici.  La Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), l’autorità garante per la protezione dei dati personali francese, ha già sottolineato che questa tecnologia “presenta il rischio di normalizzare la sensazione della sorveglianza tra i cittadini, di creare un fenomeno di assuefazione e banalizzazione di tecnologie intrusive.” Nel caso della città di Cannes, l’intervento del CNIL ha condotto al blocco dell’impianto di monitoraggio delle mascherine.

La campagna intereuropea Reclaim Your Face sta cercando di mettere in guardia dagli effetti che il controllo demandato alla tecnologia può avere sulle nostre vite e come i nostri spazi pubblici rischiano di essere trasformati in un luogo disumanizzante: la falsa percezione di sicurezza e il chilling effect—la modifica del nostro comportamento quando sappiamo di essere osservati—ne sono gli esempi più che concreti. Avere telecamere puntate addosso in ogni nostro spostamento significa davvero sentirsi più sicuri? E quando questo assunto è puntualmente smentito da studi e fatti di cronaca, quale sarà la successiva soluzione da mettere in campo? Come ci rapporteremo, poi, alla crescente possibilità di non essere più realmente capaci di muoverci liberamente nello spazio pubblico per paura di essere giudicati? Lo sguardo degli algoritmi ci strappa di dosso ogni forma di umanità e ci riduce a vuote categorie e dati digitali.

In questo modo, le persone costrette a spostarsi di casa per recarsi a lavoro diventano cavie per esperimenti tecnologici—normalizzando di fatto la sorveglianza. Lo spazio pubblico viene ridotto a laboratorio e tutti i lavoratori e lavoratrici essenziali rischiano di essere trasformati in dati digitali senza vita.

 

About the authors

Laura Carrer is head of FOI at Transparency International Italy and researcher at the Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights. She is also a freelance journalist writing on facial recognition, digital rights and gender issues.

Riccardo Coluccini is one of the Vice Presidents of the Italian NGO Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights. He is also a freelance journalist writing about hacking, surveillance and digital rights.